La bilancia e lo Spada
“La lacuna c’è, anche quando esista una norma per rimediarvi, finché coloro che non hanno, in base a questa, il potere non provvedono effettivamente a reintegrare o sostituire l’istituzione caduta”. Mentre leggevo subito dopo i fatti su vari media gli articoli sul motivo dell’inerzia dello stato davanti all’aggressione di Roberto Spada, esponente di un clan mafioso fascistoide, verso Daniele Piervincenzi, giornalista di Nemo, mi è tornato in mente questo concetto di Santi Romano. Il pensiero, contenuto nelle Osservazioni sulla completezza dell’ordinamento statale, paradossalmente pubblicate in pieno periodo fascista, sottintende che, in parole povere, è inutile avere le leggi se chi deve applicarle non lo fa. La parafrasi altrettanto sempliciotta di questo principio la utilizzano spesso le forze dell’ordine per spiegare confidenzialmente che loro arrestano sì i delinquenti, ma poi i giudici, a volte evidentemente più azzeccagarbugli degli avvocati, glieli rimettono in libertà. Fino a qui siamo di fronte alla secolare distinzione tra le due facce della giustizia: toga e divisa, law e order, bilancia e spada. Ma mi ha fatto un po’ tristezza leggere quegli approfondimenti giornalistici paragiuridici – che i mezzi di informazione, come spesso succede, hanno poi scopiazzato uno dall’altro – secondo cui nel caso Spada lo stato era legalmente impotente. Ai sensi del codice di procedura penale non si sarebbe cioè potuto in alcun modo arrestare, fermare o sottoporre a misura cautelare questo tizio. Quindi non perché la legge non veniva applicata, ma perché proprio non c’era una legge che lo permettesse. Ma siamo davvero oltre il caso prospettato da Santi Romano? In realtà no, ci siamo dentro in pieno, perché la legge adatta per mettere le manette a Spada c’era eccome. Per fortuna dopo un po’ l’hanno trovata anche le autorità preposte. La legge giusta in effetti esiste quasi sempre. In Italia nessuno sa esattamente quante leggi abbiamo. Ci hanno provato in molti a contarle e ogni volta esce un numero diverso. Cinquantamila, centomila? Di sicuro tantissime. E tra così tante ce ne sarà pure una applicabile al caso concreto, no? Nel caso Spada ce n’era probabilmente addirittura più d’una tra cui scegliere fin da subito. In merito a questa aggressione la contestazione delle sole lesioni (che, considerate autonomamente, davano poco margine all’autorità giudiziaria) era proprio il minimo sindacale. Roba da patteggiamento natalizio. Guardando appena intorno c’erano però la violenza privata, l’aggravante mafiosa, le misure di prevenzione, la normativa sulla detenzione di armi… Sì, perché il manganello fa molto coreografia fascista, ma, anche se in relazione a questo caso non l’ho ancora letto su alcun giornale, è un’arma impropria, che come tale va trattata. Per fortuna l’episodio è stato ripreso e divulgato e lo sdegno è salito. E a volte questo olia i meccanismi della burocrazia giudiziaria. Così un vigliacco (tra le altre cose) è stato assicurato alla giustizia. Non un duro. Uno che non ci assomiglia nemmeno a un duro. Perché colpire a tradimento un altro che ti sta parlando e poi inseguirlo e picchiarlo armato di sfollagente mentre barcolla e sanguina è da piccoli vigliacchi. Un duro invece è un cronista che ha il coraggio di andare nella tana dei lupi con in mano soltanto un microfono, non un manganello. Peraltro non mi pare di aver visto Spada provare a dare testate ai carabinieri che lo portavano via. Bene così. Giornalisti e programmi coraggiosi sono armi essenziali a favore della democrazia e contro le mafie. Del resto, come presagiva già Jules Verne, Nemo vince contro la piovra.